La chirurgia rigenerativa parodontale consiste nella ricostruzione del tessuto osseo e gengivale che si rende necessaria a seguito di una malattia parodontale o di altri processi patologici. Viene attuata nel momento in cui è in corso un’infiammazione non curabile con la semplice terapia non chirurgica e l’obiettivo principale è quello di ridurre il più possibile i danni della malattia.
Per capire in cosa consiste la chirurgia parodontale rigenerativa è utile prima sapere cos’è il parodonto. Vi presenteremo inoltre un interessante caso studio su un’innovativa tecnica chirurgica che ha portato risultati ottimali e stabili nel tempo.
Il parodonto: cos’è e da quali elementi è composto
Il parodonto è il tessuto mediante il quale i denti sono ancorati alle ossa mascellari ed è costituito dalla gengiva e dai tessuti profondi quali: legamento parodontale, cemento radicolare e osso alveolare. Per capire meglio il processo di chirurgia rigenerativa parodontale è necessario analizzare tale tessuto più nello specifico, essendo questo interessato dal processo infiammatorio della parodontite, di cui abbiamo parlato più nello specifico in questo articolo del nostro blog.
La gengiva è la porzione di mucosa orale che ricopre i processi alveolari del mascellare superiore ed inferiore. Quando la gengiva è in salute, il suo colore è rosa pallido e si presenta liscia o ruvida a seconda della sezione che occupa.
Il legamento parodontale è composto da fibre collagene e la sua funzione principale è quella di legare l’elemento dentario all’osso, attraverso il cemento che ricopre la radice.
Il cemento radicolare è un tessuto mineralizzato che ricopre la radice del dente e ne assicura l’attacco all’osso.
L’osso alveolare è la parte dell’osso mascellare che circonda i denti ed è visibile attraverso le radiografie.
Cos’è la chirurgia rigenerativa parodontale
La chirurgia rigenerativa parodontale, come detto, è un processo che porta alla completa ricostruzione del tessuto osseo e gengivale quando viene colpito dai una malattia parodontale o di altri processi patologici. La necessità di intervenire con questa operazione avviene nel momento in presenza di difetti ossei molto profondi. Tale tecnica vede l’utilizzo di un innesto di tessuto che viene poi ricoperto dalle strutture gengivali o da membrane protettive biocompatibili. È un’operazione che garantisce nuova stabilità ai denti e nuova vita alla salute dentale del paziente.
La splitted bone block technique e il caso di studio del Prof. Stefano Trasarti
Parlando di chirurgia rigenerativa parodontale vogliamo presentarvi adesso uno studio innovativo condotto dal professore Stefano Trasarti, specialista in Parodontologia e chirurgia Orale, che collabora con la nostra clinica dentistica.
Laureato presso Università L’Aquila, il prof. Trasarti ha conseguito la specializzazione in Conservativa e in in Parodontologia e Implantologia presso Università di Bologna. Tra le molte collaborazioni segnaliamo quella con il Prof F. Khoury alla clinica Schellenstein in Germania e all’Università di Munster.
Lo studio che vi presentiamo è stato pubblicato nel 2019, assieme alla dottoressa Daniela Marroni, su The Journal of Dentist, con il titolo “The Management of Advanced Lateral Bone Defects with the Splitted Bone Block Technique in the Maxillary and in the Mandible. A Follow-up until 8 Years”.
L’obiettivo di tale studio è stato quello di presentare un’innovativa procedura denominata “splitted bone block technique” in italiano “tecnica del blocco osseo diviso”. Tale tecnica riguarda la ricostruzione del tessuto osseo e gengivale, attraverso l’innesto di osso autogeno (materiale prelevato dal paziente stesso in un altro punto del corpo e trapiantato nel sito desiderato) per ricostruire lo spessore corretto dell’osso senza l’utilizzo alcuno di biomateriale o membrana.
Gli studiosi hanno valutato la prevedibilità negli anni di questa tecnica, selezionando 22 pazienti in cui l’osso residuo aveva uno spessore massimo di 3 mm. Lo scopo era valutare il riassorbimento del nuovo osso in quello laterale estremamente atrofizzato lungo il corso del tempo.
Grazie a questo articolo è stato ampiamente dimostrato come l’innesto di osso autogeno sia il metodo più prevedibile e sicuro per ottenere dimensioni ossee ottimali e qualità del sito d’inserimento, soprattutto in casi in cui i difetti ossei sono maggiori.
L’operazione ha permesso ai pazienti in esame di ottenere un risultato stabile nel tempo, in quanto il nuovo osso è risultato in struttura e resistenza molto simile a quello nativo. Dopo soli 3-4 mesi dall’operazione, è stato possibile inserire un impianto in una posizione protesica assolutamente corretta e precisa. Risultato che con altre tecniche sarebbe stato difficile ottenere.
Se vuoi saperne di più su questa innovativa tecnica o vuoi controllare lo stato di salute dei tuoi denti, rivolgiti ai nostri specialisti.